Turistizzare la vita: l’overtourism siamo noi
Ovvero: Airbnb trasforma in esperienza vendibile ogni momento di vita. È un simbolo molto potente di quello che siamo diventati: turisti della realtà
Ciao, questo numero di Turisti della realtà parte da una notizia: l’introduzione di nuovi servizi turistici dentro Airbnb. È un’occasione per raccontare quella che di solito chiamo turistizzazione della vita: l’esistenza di ciascuno di noi che diventa un prodotto, esperienza consumabile o contenuto per i social media. Tutto l’articolo è un piccolo teaser di una cosa di cui vi parlerò la prossima settimana. Prima di leggere, ti ricordo che se vuoi ricevere il prossimo numero in mail puoi iscriverti dal pulsante qui sotto.
Due scene dalla mia città, Roma, che negli ultimi mesi sono spesso tornate davanti ai miei occhi.
La prima, in centro, nei pressi di Piazza Venezia. In quella zona c’è una fontanella; non è un nasone, di quelli che ne trovi a decine ovunque in città. È diversa: c’è una vasca e un rubinetto attaccato al muro. Mi trovo lì in zona e mi ricordo di quella possibilità per riempire la borraccia che porto sempre con me.
Mi avvicino e mi imbatto in un gruppo piuttosto nutrito di persone. C’è una donna davanti, sta parlando. Le altre persone indossano un auricolare, ascoltano con attenzione distratta, guardandosi intorno.
Ho la sensazione che stiano “visitando” la fontanella.
Cambio scena.
Abito in un quartiere piuttosto periferico di Roma. Intendiamoci, sono fortunato: è abbastanza dentro al Raccordo, ma al limite tra quello che considereresti dentro la città e fuori dalla città. C’è un parco, nella mia zona: non è una novità, a Roma ce ne sono tanti.
È un parco piccolo, frequentato soprattutto da gente del quartiere. È uno dei pochi sbocchi veri che quella zona - che ti dà ancora un senso di essere in costruzione - offre alle persone che ci abitano.
Sono qui per la mia solita passeggiata del pomeriggio: unico obiettivo muovere un po’ le gambe dopo una giornata passata in posizioni disastrose davanti al pc. Cammino, respiro, evito qualche ciclista che ogni tanto reclama il suo spazio.
A un certo punto, però, mi sposto per farne passare uno e sembrano non finire più: sono almeno una decina, auricolare nell’orecchio.
Mi ringraziano, in un inglese con accenti che non sempre riesco a individuare.
Scene ordinarie da una capitale europea nel 2025. Che raccontano, in modo sicuramente aneddotico, di un turismo la cui caratteristica principale è l’eliminazione degli spazi sicuri.
Quello che abbiamo scelto di chiamare overtourism è, in effetti, una combinazione di due fattori. Uno è meramente numerico: secondo i dati dell’Agenzia Onu per il Turismo, nel 2024 hanno viaggiato per svago circa 1,4 miliardi di persone, praticamente lo stesso numero del 2019.
E secondo Demoskopika, l’estate 2025 potrebbe far segnare un nuovo record per il nostro Paese. Dove, riporta l’Ansa, sarebbero attesi tra giugno e settembre 65,8 milioni di turisti e 267,4 milioni di presenze, con un incremento rispettivamente pari al 3,4% e al 2,1% rispetto alla stessa stagione del 2024.
Un articolo della scorsa settimana su The Independent raccoglie una serie di sforzi che le località del mondo stanno tentando per arginare l’overtourism: dalla tassa giornaliera per entrare a Venezia ai limiti imposti alle navi da crociera a Barcellona, fino al divieto di selfie in alcuni quartieri di Kyoto.
Questi tentativi raccontano di un turismo che ha superato la soglia critica, imponendo alle città di difendersi come si fa con un’invasione.
E questi sono i numeri, la parte più evidente della questione, quella contro cui le città stanno cercando di organizzarsi. Ma c’è un’altra parte del problema, più profonda e complessa.
A novembre 2024, Fodor, un editore internazionale di guide turistiche, ha pubblicato un articolo in cui evidenzia le località in cui non andare nel 2025: ci sono Bali, Barcellona, Agrigento, Tokyo, Oaxaca. La ratio è chiara:
Un fattore chiave è spesso la tendenza dei governi a dare priorità all’esperienza dei visitatori piuttosto che al benessere dei residenti locali. Questo approccio può portare a trasformazioni irreversibili delle destinazioni, rendendole inaccessibili per costi, omologate o addirittura compromesse. E diciamolo chiaramente: visitare questi luoghi raramente produce viaggiatori felici. Muoversi in città invase dai turisti è frustrante; visitare paesi dove gli abitanti mal sopportano la tua presenza è spiacevole; camminare nella natura sommersa dai rifiuti è deprimente.
È uno dei tanti paradossi di questa storia. I turisti, quelli che tolgono autenticità - che lo vogliano o no -, vogliono più autenticità. E quindi cercano altri luoghi, altri spazi, che possano dare quell’illusione.
Questo paradosso crea una domanda inesauribile di nuova autenticità, spingendo i turisti – e il mercato che li serve – verso territori inesplorati o precedentemente considerati immuni dalla logica del viaggio.
È l’altro lato ancora meno visibile, ancora più insidioso, di questa storia: il turismo è oggi un mercato dell’autenticità non tollera vuoti né eccezioni. Qualunque cosa, qualunque luogo, qualunque frammento della vita può essere trasformato in esperienza vendibile. Non esiste più l’altrove, perché ogni altrove è destinato a diventare qui, subito, per chi paga abbastanza.
Airbnb lo ha capito meglio di tutti. La piattaforma fondata da Brian Chesky ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un passaggio chiave nella trasformazione profonda delle città contemporanee, del modo stesso in cui ci relazioniamo agli spazi che abitiamo.
Ha agito - e continua a farlo - da acceleratore di una tendenza già in corso, rendendola sistema: la città che si riconfigura come infrastruttura dell’ospitalità. Scrive Riccardo Staglianò, in un libro che si chiama L’affittacamere del mondo:
Airbnb è un tassello di un meccanismo piú grande di espropriazione urbana sebbene non le sfugga affatto che il drammatico spopolamento della città abbia sia una genesi che un andamento indipendenti dalla celebre piattaforma. Che, tuttavia, ha contribuito e contribuirà a peggiorare la situazione.
Ecco, quando Airbnb ha introdotto la possibilità di affittare la propria casa per brevi periodi, ha aperto una breccia culturale e urbana che ha accelerato una riconfigurazione degli equilibri urbani. Milioni di spazi privati sono diventati estensioni fluide dell’economia turistica.
Non solo perché l’affitto breve ha contribuito, in città come Roma, Venezia, Firenze, alla sottrazione di una parte consistente del patrimonio abitativo al mercato della residenza stabile. Ma perché ha cambiato la grammatica stessa della città: la casa non è più spazio intimo, ma potenziale spazio produttivo; la finestra sul quartiere non è più sguardo sul vicino, ma cornice per il turista.
Non più vita, ma vita lenta.
I dati raccontano bene questa trasformazione. A Roma, nel 2023, il numero di alloggi turistici è aumentato del 37,3%, portando la città al secondo posto in Europa per crescita di Airbnb, dietro solo ad Amsterdam.
Nel frattempo, il canone medio d’affitto ha superato i 2000 euro al mese, mentre nel centro storico le botteghe tradizionali chiudono e lasciano spazio a esercizi pensati per i visitatori temporanei.
A Venezia, i residenti sono ormai meno di 50mila, mentre ogni anno arrivano 20 milioni di visitatori. I posti letto per turisti hanno superato quelli destinati agli abitanti. Qui non è più la città ad accogliere i turisti, sono i turisti a occupare stabilmente la città.
Insomma, non è tanto questione di numeri, quanto di un’offerta - e di una domanda - continua, incessante, di nuove opportunità turistiche, sempre più autentiche.
A maggio, la stessa Airbnb ha annunciato un’espansione dei suoi servizi. Accanto agli alloggi e alle classiche “Esperienze” già presenti da alcuni anni, la piattaforma ha introdotto una sezione chiamata “Servizi”, pensata per ampliare la gamma delle attività che gli utenti possono prenotare durante il soggiorno, o anche senza soggiornare.
Con questa funzione, chiunque può prenotare direttamente dall’app un personal trainer che organizza una sessione di allenamento a domicilio, uno chef che cucina un menù tipico nella casa affittata per le vacanze, un massaggiatore che offre trattamenti in salotto o un fotografo che ti segue durante una giornata in città per un servizio fotografico personalizzato.
Questi servizi sono già attivi in 260 città in tutto il mondo e in molti casi i costi sono contenuti, spesso inferiori ai 50 dollari.
La logica è la stessa che Airbnb ha applicato alle “Esperienze”, lanciate alcuni anni fa e ora ulteriormente ampliate. Qui l’offerta include attività organizzate da esperti locali, pensate per far vivere ai viaggiatori momenti che vadano oltre la visita turistica classica.
Ci sono, per esempio, lezioni di cucina con chef famosi a Parigi, workshop di ceramica a Tokyo, sessioni di yoga al tramonto sulle terrazze di Barcellona, oppure allenamenti di beach volley con un’atleta olimpica a Rio de Janeiro. A queste due categorie si è aggiunta una terza proposta, chiamata “Originals”, che punta su esperienze esclusive create in collaborazione con celebrità e influencer.
L’obiettivo dichiarato da Airbnb è quello di trasformare il soggiorno in un’esperienza più completa, permettendo agli utenti di sentirsi “come dei locali” ovunque si trovino.
Molti di questi servizi sono accessibili anche a chi non sta usando Airbnb per dormire: si possono prenotare direttamente da casa propria, nella propria città. In questo modo, la piattaforma non si limita più a intermediare case o attività turistiche, ma entra direttamente nella vita quotidiana delle persone: propone attività e servizi che, fino a poco tempo fa, appartenevano a spazi e rituali domestici, di quartiere, di comunità.
È più di un’evoluzione tecnologica, è più che altro il consolidamento di un’idea. Ogni luogo, ogni spazio, si può consumare, prenotare: un brunch al parco, una sessione di yoga sul terrazzo, una cena privata a base di piatti tipici.
Se fino a oggi la città era diventata una rete di alloggi diffusi, ora si trasforma in un contenitore continuo di esperienze. Non è più solo questione di dormire in una casa che non è tua. È consumare, anche solo per poche ore, una vita - o la replica, di una vita - che non ti appartiene.
E così lo spazio urbano perde quell’ambiguità sottile tra luogo vissuto e luogo attraversato. Il bar di quartiere, la panchina al parco, la cucina della nonna: tutto può entrare nel circuito delle esperienze prenotabili.
È questo, più di ogni altra cosa, l’overtourism. Qualcosa che ha a che fare con la messa a mercato di ogni frammento della vita quotidiana. Con la cancellazione progressiva di quegli spazi che, senza bisogno di regole esplicite, erano considerati spazi sicuri.
Spazi non destinati a essere venduti.
Forse è quella l’unica verità, l’unica spiegazione che vada oltre i numeri, il fastidio per le folle, i ristoranti pieni, le code infinite.
Siamo tutti turisti. In un sistema che ci vuole, ci preferisce, turisti.
Pensateci, abbiamo sempre meno tempo a disposizione. Meno tempo libero, meno tempo di vita, meno tempo di crescita. E quindi, esattamente come un turista, pianifichiamo: utilizziamo l’ambiente in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo di veglia, quello digitale, per essere sicuri che quelli che trascorreremo saranno momenti di valore, finalizzati a un qualche genere di realizzazione, di costruzione della propria identità.
E se pianifichiamo è anche perché, al crescere del tempo – effettivo e psicologico – dedicato al lavoro non è corrisposto un uguale aumento dei salari, in particolare nel nostro Paese. Abbiamo tempo limitato, budget preciso, spesso risicato. E quindi, come un turista, ogni mossa deve essere studiata, analizzata, pianificata. Per non perdere qualcosa di prezioso, un’occasione da non sprecare.
Questo contesto costruisce, prima di tutto, uno stato mentale, che diventa poi una condizione attivamente costruita e mediata, a partire dall’ecosistema tecnologico e sociale che abitiamo. Parte da come le piattaforme e i social media presentano la realtà: non più come un flusso caotico e imprevedibile in cui semplicemente esistere, ma come una sequenza curata di feed, di storie, di reel, potenziali esperienze da consumare o da produrre.
TikTok e Instagram hanno fatto alla vita quello che oggi Airbnb sta provando a monetizzare: l'hanno trasformata in un contenuto, in una successione di momenti finalizzati al guadagno di capitale relazionale ed economico.
Il punto è che questa dinamica, questa sensazione di poter accedere al mondo in sicurezza, in una sorta di perenne tour algoritmico guidato, modifica il nostro rapporto con la realtà. Ci trasforma in spettatori o produttori di contenuti, addestrati alla fruizione e alla rappresentazione.
La vittima di questo gigantesco esperimento è quella che volgarmente chiamiamo realtà, la percezione della realtà, la capacità e la possibilità di relazionarsi con gli spazi e i contesti che abitiamo, che diventano esclusivamente funzionali alle nostre necessità di fruizione o rappresentazione.
Diventiamo turisti, nel senso più deteriore del termine: spettatori di luoghi, persone, idee, che abitiamo solo per il tempo necessario alla rappresentazione.
È così che sono riuscito a spiegarmi la mia ossessione per il turismo, per i luoghi che cambiano, che perdono identità per essere appetibili a chiunque arrivi, in qualunque momento.
Credo sia il turismo stesso a definire ciascuno di noi, in questo periodo storico.
A breve - manca molto poco - condividerò con voi la mia personale strada per elaborare questa ossessione.
Un piccolo indizio: Turisti della realtà non è solo il titolo di questa newsletter.
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hai messo "su carta" quello che non riuscivo a esprimere da qualche anno sull'overtourism, che non capivo pienamente.
Viaggi low cost, airbnb, viste instagrammabili imperdibili, tutto contribuisce a questo aumento incontrollato. Le trappole per turisti, i pullman giapponesi, ci sono sempre stati, ma il volume, la diffusione e la vitalità dei luoghi aumenta guidata dai social da un lato, dalla possibilità tecnica (ryanair, airbnb, etc) di farlo.
Ed economicamente ha scoperchiato un vaso di pandora. Airbnb (short term renting) sta diventando quasi un asset class di investimento. Capirne i numeri sotto aiuta a comprenderne la portata.
Ottimo articolo, grazie per averlo condiviso.