Fedez, Chiara Ferragni e la scomparsa della realtà
Ovvero: inondare il mondo di contenuti, tra ipnocrazie, architetti della realtà e paralisi dell’azione. Con una via d’uscita: rompere la quarta parete.
Ciao, questa settimana torno con un articolo di approfondimento. Parte da un paio di storie di cui potresti - tuo malgrado - aver sentito parlare, per poi utilizzare un bel libro uscito da poco per provare ad andare un po’ più a fondo. Prima di leggere, ti ricordo che se vuoi ricevere il prossimo numero in mail puoi iscriverti dal pulsante qui sotto.
Di recente, mi sono imbattuto in un tweet, con una sorta di video prova di DeepSeek, l’intelligenza artificiale cinese di cui avrete sentito parlare in questi ultimi giorni.
Il test ha molto a che fare con 1984 di George Orwell. L’utente chiede all’IA di ricordargli quale fosse il lavoro di Winston, il protagonista del libro. Il sistema risponde – in modo corretto – indicando la natura del compito: "correggere" i libri e gli articoli di giornale già pubblicati, modificandoli in modo da rendere riscontrabili e veritiere le previsioni fatte dal Partito.
A quel punto, l’utente chiede quali siano i paesi che oggi mettono in campo strategie simili a quelle dell’Oceania, la potenza totalitaria del libro di Orwell. L’intelligenza artificiale inizia a rispondere, ma si interrompe bruscamente appena tra gli esempi compare la Cina.
È un tema di cui si è parlato molto, in questi giorni di articoli su Deepseek, con test su piazza Tienanmen o sulle persecuzioni alla minoranza uigura. L’IA, in casi come questi, inizia a rispondere, poi si blocca, come se riconoscesse di star dicendo qualcosa che non dovrebbe dire (da un punto di vista informatico, c’è con ogni probabilità un filtro che lavora sull’output).
Confesso, in queste righe, che è un tema di cui riconosco il fascino, ma che mi appassiona il giusto. Un po’ perché ogni sistema di intelligenza artificiale è espressione di un modo preciso di vedere il mondo.
Un po’ – ed è la ragione principale - perché mi pare che questa suggestione di nascondere la realtà o le verità attraverso la censura mi pare novecentesca, superata.
Oggi, la realtà si nasconde a partire dall’accumulazione.
O meglio, si costruisce a partire dall’accumulazione.
Negli ultimi giorni, Fabrizio Corona ha rivelato che Fedez avrebbe avuto una relazione extraconiugale di sei anni con la designer milanese Angelica Montini. Chiara Ferragni ha confermato il tradimento, ha espresso il proprio dolore e sottolineato di aver minimizzato le mancanze di rispetto per proteggere la famiglia.
C’è un aspetto di questa storia che mi ha colpito. Sono due scene, quasi parallele.
Nella prima c’è Fedez, nel marzo del 2022, che negli istanti precedenti all’operazione invia un messaggio alla presunta amante. "Ricordo perfettamente – scrive - mentre facevo le TAC in ospedale, la notte prima dell'operazione, prima dell'anestesia... c'erano solo tre persone che mi davano la forza di affrontare tutto. Leone, Vittoria e tu. E avrei voluto averti accanto ma tu non c'eri”.
La seconda è ritratta in un video, degli stessi istanti. È violenta, nel senso che ti sbatte in faccia uno di quei momenti che con ogni probabilità avresti scelto di non vedere ma che non puoi smettere di guardare una volta che ce li hai davanti. Ferragni piange, Fedez la consola.
L’inquadratura è quasi metaforica: enormemente vicina, come quando uno è sdraiato e ha lo smartphone davanti alla faccia. È un momento di intimità molto duro, doloroso, forse non sarebbe sbagliato definirlo pornografico.
Ora, citando l’ispettore Bloch di Dylan Dog: non do giudizi morali su nulla e nessuno dalla fine degli anni ’90.
Il parallelismo però serve a raccontare le dinamiche che stanno alla base delle realtà che abitiamo online. Che sono realtà costruite a partire dall’accumulazione di contenuti, realizzati con determinati criteri, con uno stile e un linguaggio che ormai siamo in grado di riconoscere molto facilmente.
Il senso culturale dei social media è diventato, probabilmente a partire dalla pandemia, quello dell’accesso alla realtà. Ovvero di spazi in grado di rappresentare piuttosto fedelmente – senza filtri – il mondo, di ottimizzarlo, di ridurlo a una serie di stimoli decodificabili, comprensibili, sicuri. In questo ecosistema culturale nasce e prospera un certo modo di fare influencing, quello che rende la vita stessa una commodity, una storia da raccontare – e vendere – al miglior offerente.
Ecco, la costruzione di una vita.
L’accumulo di scene che nascono in maniera praticamente statutaria in direzione dell’inganno: sembrano vere, non filtrate, momenti ripresi da una telecamera nascosta. Sono pensate, girate, programmate, pubblicate, ingegnerizzate.
Servono a costruire, non a rappresentare.
Ho parlato di infrastrutture di accesso alla realtà.
Probabilmente con il tempo i social media sono diventati infrastrutture di costruzione delle diverse realtà che abitiamo.
Oppure, come propone Jianwei Xun in un libro uscito di recente per Edizioni Tlon, infrastrutture di ipnosi collettiva. In Ipnocrazia, Xun parte da Trump e Musk, che definisce "architetti della realtà", in quanto capaci di costruire universi percettivi alternativi e di influenzare la coscienza collettiva attraverso tecniche di ipnosi di massa. La loro influenza non deriva tanto dal controllo diretto delle istituzioni, ma dalla capacità di manipolare la percezione pubblica. Scrive Xun
L’ipnocrazia non governa. Non c’è centro, non c’è autorità visibile. È un regime che si espande attraverso l’occupazione: ogni spazio viene preso, ogni pausa riempita, ogni frammento di realtà assorbito. (…) Viviamo immersi in una ipnosfera, un ambiente che avvolge ogni percezione, dove tutto si riflette in una rete di significati che non possiamo distinguere.
Non si tratta semplicemente di manipolazione dell'informazione o di sorveglianza digitale, ma di una trasformazione profonda in cui la realtà diventa "gassosa", e la distinzione tra vero e falso perde significato. Il sistema prospera sulla coesistenza di realtà incompatibili, rende difficile – e forse nemmeno così importante - distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.
Ed è l'accumulazione a produrre il disinteresse; è la realtà che continua a succedere davanti ai nostri occhi a paralizzare l'azione. Perché se non c'è spazio per l'elaborazione, non c'è nemmeno spazio per trovare un senso che guidi l'azione. Sei solo/a, apparentemente al sicuro dietro una specie di finestra distorta, a guardare il mondo succedere. E l'unica cosa che senti di avere a disposizione è quello stesso strumento che ti permette di guardare, è aggiungere una goccia di pioggia al diluvio.
Nel corso di questi ultimi anni, abbiamo sviluppato una serie di strategie di resistenza a questa realtà incessante a cui siamo esposti costantemente. La principale mi pare il nichilismo, l'ironia, dissacrare per provare a non restare sommersi. Che è sacrosanto, ma è anche un po' un modo di legittimare la paralisi, di certificare il valore del proprio immobilismo.
È quella che Xun definisce l’illusione dell’azione, ovvero uno “uno stato in cui siamo continuamente informati sulle ingiustizie ma sempre più distaccati dai modi per combatterle materialmente”.
Se ogni gesto reale viene neutralizzato nella sua traduzione in contenuto, il sistema sviluppa inevitabilmente un proprio linguaggio visivo, una grammatica della seduzione che trasforma ogni resistenza in spettacolo. Il potere dell’Ipnocrazia, infatti, non sta solo in ciò che mostra, ma in come lo mostra. La sua estetica non è meramente decorativa - è funzionale, progettata per catturare e mantenere l’attenzione attraverso specifici trigger visivi ed emotivi. È un’estetica del coinvolgimento senza attrito, dove ogni elemento è ottimizzato.
È in questa paralisi dell’azione che nascono i mostri. O che nasceranno nuovi mostri, nel prossimo futuro.
Che nasceranno, in altre parole, nuove architetture della realtà sempre più fluviali e suggestive, in grado di alterare le percezioni di sempre più persone.
Recentemente, Massimiliano Zossolo, fondatore della nota pagina social Welcome to Favelas, ha rivelato di aver incontrato alcuni rappresentanti europei di Elon Musk per discutere di informazione indipendente. Nessun dettaglio concreto è emerso, ma l’incontro è stato definito “necessario e molto stimolante”.
Welcome to Favelas, attiva dal 2013, è una delle realtà social più seguite in Italia: raccoglie e pubblica video di degrado urbano, episodi di cronaca minore e situazioni al limite, tra denuncia e intrattenimento.
Un format che, per molti versi, incarna il tipo di contenuto non filtrato che Musk ha più volte dichiarato di voler promuovere. Il numero uno di X sembrerebbe star sondando il terreno per costruire una rete di media indipendenti in Europa, in linea con la sua visione di una comunicazione più diretta, meno mediata e più "cruda".
Una nuova architettura della realtà, anche per l’Europa.
Il punto, che è un po’ la morale del caso Ferragni-Fedez, è che poi sotto quel velo la realtà non scompare, il mondo continua a girare con regole spesso diverse da quelle delle piattaforme.
Mi sembra che per sostenere questa tesi sia interessante raccontare la storia di Roccaraso, invasa da migliaia di turisti mordi e fuggi in seguito a una serie di contenuti su TikTok postati dall’influencer Rita De Crescenzo.
Ora, io sono piuttosto d’accordo con De Crescenzo quando dice di aver semplicemente mostrato le sue vacanze. Credo però che questa storia sia dimostrazione plastica di quello che succede quando le due principali realtà che abitiamo – quella fisica e quella digitale – vengono a contatto in modo così netto.
Da un lato hai i contenuti, quel suggerimento che viene da chi apparentemente è come te e di cui quindi ti puoi fidare. Contenuti che hanno successo e che quindi arrivano a un numero molto alto di persone: smettono di essere quello che pretendono di essere – un passaparola – e diventano una sorta di costruzione di un desiderio accessibile.
Dall’altro, però, c’è il mondo, c’è uno spazio finito che diventa invivibile nel momento in cui tante persone decidono di volere la stessa cosa. Soprattutto se quelle stesse persone guardano al mondo come a un prodotto di intrattenimento, qualcosa da consumare come si consuma un contenuto.
Il passaggio tra le realtà, o tra l’ipnosi e lo spazio fisico direbbe Xun, può essere quantomeno pericoloso, al moltiplicarsi dei contenuti e della loro diffusione.
La soluzione di Xun sta nell’arte di navigare nell’ipnocrazia in modo consapevole. In altre parole, “di mantenere vivi spazi di possibilità, zone di autonomia temporanea dove qualcosa di diverso può ancora emergere”.
Aggiungo anche un presupposto culturale importante, che ha a che fare con il rifiuto del realismo, del non filtrato, della possibilità di rappresentare il mondo senza mediazioni. Non è possibile – e anche se lo fosse sarebbe enormemente pericoloso - pensare di poter trovare un senso, una prospettiva, nella realtà così com’è, senza elaborazioni e senza la costruzione di una distanza necessaria alla comprensione.
Resistere all’ipnocrazia – o a quello che, seppur con sfumature diverse, io chiamo turismo della realtà – mi pare abbia molto a che fare con il recupero di una mediazione.
Oppure, e vorrei chiudere con questa suggestione, con la rottura della quarta parete. Se n’è parlato un po’ in queste ultime settimane per merito di M., la serie su Mussolini interpretata da Luca Marinelli. Nella serie – che non ho ancora finito, per dovere di cronaca – Mussolini/Marinelli si rivolge con una certa frequenza al pubblico, quasi a cercare un qualche genere di complicità. Lo fa, tra l’altro, con il senno di poi, come una sorta di narratore onnisciente che conosce già la fine della storia.
Un po’ come Brausen, personaggio uscito dalla penna di un grande scrittore uruguaiano, Juan Carlos Onetti. Che, ne La vita breve, trova rifugio da una vita che non lo soddisfa scrivendo la storia di un paese, Santa Maria, e dei suoi abitanti. Una storia che Onetti avrebbe poi continuato a raccontare in altri libri, come Il cantieri o Raccattacadaveri. In La morte e la bambina, la finzione viene rivelata: gli abitanti di Santa Maria sembrano venerare Brausen, una sorta di Dio creatore e motore del loro mondo.
Ecco, rompere la quarta parete – o navigare nell’ipnocrazia – mi pare abbia molto a che fare con il mantenere la consapevolezza che le realtà che abitiamo sono costruzioni di cui dobbiamo provare il più possibile a riconoscere - e sabotare - i meccanismi. Onetti lo mostra nel modo più radicale: dietro la narrazione c’è sempre un narratore, e la realtà è solo un’illusione condivisa.
L’ipnocrazia funziona perché il dispositivo resta invisibile. Rompere la quarta parete significa incrinare questa certezza: svelare il trucco, guardare in macchina, chiamare il pubblico in causa.
Non per trovare un’autenticità impossibile, ma per ricordare che la realtà è sempre una messinscena. E che il copione, a volte, si può riscrivere.
E anche questo numero di Turisti della realtà è andato. Fammi sapere se ti è piaciuto questo esperimento, se ti va. Puoi anche condividere la newsletter dal bottone qui sotto, iscriverti da quello ancora più sotto, scrivermi o seguirmi qui.